L'attività di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti, al riciclaggio di denaro di provenienza di detti traffici e, infine, ma non ultimo d'importanza, alla criminalità organizzata, trova nell'operazione GREEN ICE quella che maggiormente ha consentito lo sradicamento di una portentosa rete di narcotrafficanti e di più organizzazioni dedite al riciclaggio di denaro sporco.
L'operazione GREEN ICE è stata resa possibile in Italia grazie all'esperienza maturata in analoghe indagini e per le innovative tecniche di intelligence adottate.
Tali efficaci strumenti di contrasto sono stati peraltro messi a punto inizialmente grazie alle modifiche della legge penale e processuale introdotte nell'ordinamento giuridico italiano per i reati concernenti gli stupefacenti, le estorsioni ed il riciclaggio, successivamente anche da quanto disposto dall'art. 12 quater della legge n. 306 del 1992.
Tale normativa consente infatti l'infiltrazione in seno alle organizzazioni criminali di agenti della polizia giudiziaria sottocopertura, l'acquisto simulato di stupefacenti, il ritardo nell'esecuzione degli eventuali provvedimenti di cattura e di sequestro, e inoltre consente di agire come un vero "riciclatore".
Come è noto, il traffico internazionale di stupefacenti può essere combattuto in tre diversi modi:
A. individuazione e sequestro di partite di droga;
B. individuazione delle coltivazioni e susseguente distruzione delle stesse;
C. individuazione di canali di finanziamento del traffico e conseguente sequestro e confisca dei capitali.
La soluzione di cui al punto A è la più utilizzata, ma le forze di polizia riescono a sequestrare al massimo il 5-10% della droga in circolazione. La questione è nota soprattutto alle organizzazioni di narcotrafficanti che, come del resto fanno tutti gli imprenditori, calcolano nel prezzo di vendita anche il rischio dell'eventuale sequestro e delle spese da sostenere per la difesa legale dei corrieri tratti in arresto.
La soluzione di cui al punto B è di difficile attuazione in quanto, come noto, le coltivazioni sia del papavero da oppio che delle piante di coca si trovano in nazioni che difficilmente acconsentirebbero alle distruzioni delle piantagioni poiché ciò metterebbe in crisi l'economia di intere regioni che trovano il loro sostentamento proprio dalla produzione di tali piante.
La soluzione di cui al punto C è la più innovativa: individuare i flussi di denaro, i conti correnti dove vengono depositati i c.d. narcodollari, le persone che li rinvestono mette seriamente in crisi l'organizzazione criminale che fonda il suo potere, oltre che sulla violenza, sul proprio peso economico.
Nell'operazione Green Ice ci siamo trovati di fronte ad una potente organizzazione criminale colombiana composta dai "cartelli" di Cali e di Pereira che introduceva in Europa, ogni mese, centinaia e centinaia di chili di cocaina. La droga veniva venduta a gruppi di trafficanti che poi provvedevano a distribuirla nelle varie nazioni europee. I proventi della vendita erano in valuta locale: in Italia, ad esempio, il narcotrafficante dalla vendita di cocaina ricavava lire, in Francia franchi, in Spagna pesetas e così via.
Tutto questo denaro contante necessariamente doveva far rientro in Colombia, cambiato in dollari, per consentire sia il pagamento per l'acquisto di altre partite di stupefacente da vendere che per investire i proventi del traffico in altre attività anche lecite.
Numerose fonti informative, sia del nostro Servizio che della D.E.A. americana, avevano segnalato che le organizzazioni di narcotrafficanti colombiani avevano grosse difficoltà nel trasferire dall'Europa in America i proventi dei loro traffici illeciti. Erano giunte notizie che, anche a seguito delle restrizioni operate in materia delle leggi antiriciclaggio che vincolano le banche a segnalare all'Ufficio Italiano Cambi operazioni superiori a venti milioni di lire o comunque sospette, le difficoltà erano aumentate tanto che ingenti fortune erano bloccate in Italia e in Spagna in attesa di essere trasferite in America.
L'ufficio italiano della D.E.A., di concerto con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e con la Direzione Antidroga, proposero al SISDe di creare delle società finanziarie e di import-export che effettuassero concretamente il riciclaggio di denaro.
La proposta apparve subito interessante in quanto ci permetteva di avere dei riscontri su informazioni che, come ho detto, il Servizio aveva già in parte acquisito; inoltre, si sarebbero potuti verificare, se l'operazione avesse preso piede, i collegamenti tra "Cosa Nostra" e i cartelli colombiani che, secondo qualche "collaboratore di giustizia", erano già avvenuti.
Ovviamente il problema principale era rappresentato dal procacciare i "clienti" alla società sottocopertura ma, su questo punto, i funzionari della D.E.A. si mostrarono fiduciosi in quanto i loro agenti infiltrati e le loro fonti informative avrebbero "pubblicizzato" in Colombia la nostra società tanto da far stabilire dei contatti.
Una volta ideata l'operazione, nell'attuazione pratica si presentarono una serie di problemi da risolvere:
a. costituire una società a responsabilità limitata che fosse credibile e che, a probabili controlli operati dai narcotrafficanti, non risultasse una società di copertura.
Per rispondere a questo primo problema si pensò da principio di rilevare una società già esistente al fine di precostituire una storia. Questa soluzione fu in un secondo tempo scartata in quanto avrebbe potuto creare in futuro dei problemi con eventuali creditori per debiti che la società aveva potuto contrarre prima di essere stata ceduta a noi. Si pensò quindi di costituirne una nuova inserendo quali soci fondatori due agenti sottocopertura della D.E.A. e un funzionario del Servizio il quale, oltre a esserne socio, doveva essere nominato amministratore unico;
b. la legge italiana non permette agli agenti dei Servizi di utilizzare documenti di copertura.
L'amministratore unico che, come ho detto, apparteneva al servizio, non potendo utilizzare documenti di copertura, doveva figurare con il proprio nome e cognome. Fu necessario adottare, quindi, per la sua tutela, delle precauzioni: la prima fu quella di cambiare la residenza trasferendola in un'altra città; la seconda di domiciliarlo per l'incarico d'amministratore presso la sede della società; si provvide a trovargli un appartamento nel quale vivere intestato ad un'altra persona. Si prese in leasing un'autovettura intestando il contratto alla società, gli si fece chiudere il proprio conto corrente bancario tanto da rendere difficoltosa la sua individuazione;
c. la sede della società
per evitare aggravi di spesa e soprattutto le curiosità dei vicini di casa, si presero in affitto dei locali presso una "società di servizi", ossia che loca uffici già arredati e provvisti di una segreteria centralizzata.
Tale scelta fu fatta anche in considerazione che, da una indagine effettuata, era emerso che una sistemazione simile è la più usata da chi ricicla denaro. In un immobile dove trovano ospitalità centinaia di società che trattano i generi più disparati di affari è facile rimanere anonimi.
L'ufficio, appena fu preso, fu allestito in ogni sua parte con microtelecamere e con microfoni ambientali, tanto da garantire in qualsiasi momento la possibilità di fare registrazioni sia in audio che in video.
Inoltre, per dare una giustificazione al fatto che la società avesse un ufficio, si provvide anche a creare della corrispondenza in entrata e in uscita; si fecero abbonamenti a riviste e a quotidiani economici, si dotò l'ufficio di una segretaria, sempre dipendente del SISDe, per garantire sempre una certa presenza sul posto.
Fu, in ultimo, aperto un conto corrente intestato alla società sul quale si poteva effettuare il riciclaggio.
Tutto, a questo punto, era pronto per l'operazione.
La D.E.A., tramite gli agenti sottocopertura e le fonti impegnate nella Green Ice, iniziò ad informare i cartelli colombiani dell'esistenza della società romana e a fornire i numeri di telefono.
Era il mese di marzo del 1992 ed erano passati appena due mesi dall'ideazione dell'operazione.
Nel giugno dello stesso anno iniziarono a giungere le prime richieste di riciclaggio da parte di strutture colombiane attraverso due organizzazioni criminali in stretto contatto con le più pericolose associazioni mafiose operanti in Italia, "Cosa Nostra", la "'Ndrangheta" e la "Camorra".
Informata l'Autorità giudiziaria competente, furono effettuate in totale dieci consegne controllate di denaro per otto miliardi di lire. Inizialmente le consegne furono di entità moderata, l'organizzazione evidentemente voleva saggiare con chi aveva a che fare, poi, andando avanti nell'affare e constatando la nostra professionalità, presero fiducia e molte precauzioni iniziali vennero meno.
Le prime due consegne di denaro avvennero per strada: si presentò un signore che disse: "Nel baule della mia macchina ci sono due sacchi dell'immondizia, prendeteli" e senza aspettare che si andasse a prenderli scomparve, non prima di aver dato il numero di conto corrente e la banca degli Stati Uniti dove voleva che i soldi fossero trasferiti, ovviamente cambiati in dollari.
Il riciclaggio non si fa gratis, ha un costo, così anche la nostra società apparentemente doveva trarne un profitto: l'8% del denaro riciclato.
La legge italiana, contrariamente a quella degli U.S.A., non consente che tali ricavati possano essere utilizzati né dalla Polizia Giudiziaria né tantomemo dal Servizio. Si provvide quindi a trasferire le somme da riciclare sui conti della D.E.A. negli Stati Uniti, quest'ultima, detratte le provvigioni, depositava la rimanenza nei conti correnti dei narcotrafficanti.
Le altre consegne controllate avvennero invece nella sede delle nostre società; veniva una donna olandese, Martens Bettien, a bordo di un taxi, depositava la borsa contenente il denaro, questo non veniva mai contato e con l'andare del tempo si entrò talmente in confidenza che riuscimmo a regalarle un telefono cellulare e a darle in locazione un appartamento.
Questo ci permise di controllare in pratica ogni suo respiro e, già nel mese di settembre, avevamo ben chiaro tutto lo scenario nel quale la donna si muoveva acquisendo le prove dei suoi contatti sia con mafiosi palermitani che con i vertici dei cartelli di Cali e di Pereira.
Contestualmente erano stati individuati i conti correnti negli Stati Uniti dei narcotrafficanti.
L'abilità di chi trattava quotidianamente con la donna permise di far giungere in Italia colui che, secondo la D.E.A., era il responsabile a livello mondiale per i suddetti cartelli del narcotraffico e del riciclaggio, Ospina Cediel Vargas Orlando, ed il responsabile per l'Europa Villaquiran Pedro Felipe.
L'Ospina venne nella sede della nostra società a proporre d'intensificare il "business" offrendo di far giungere partite di cocaina. Il tutto, ovviamente, fu ripreso in video e in audio e divenne fonte di prova nel processo penale.
Per dare dimostrazione della sua potenza, il giorno prima di essere arrestato, stava per far giungere in Italia 300 kg. di cocaina per la nostra Società. Lo stupefacente fu sequestrato a Cartagena (Colombia).
L'operazione, scattata in molti Paesi, quali la Gran Bretagna, la Spagna, la Francia, il Canada, la Colombia e gli Stati Uniti, ha permesso di assestare un duro colpo soprattutto ai cartelli colombiani e in Italia ha consentito di mettere in luce i contatti con le famiglie mafiose coinvolte nel traffico della cocaina e nel riciclaggio.
Gli obiettivi raggiunti in Italia si possono così riassumere:
- in Italia sono stati eseguiti 48 arresti (di cui 4 all'estero su provvedimento restrittivo dell'A.G. italiana);
- sono state disarticolate più organizzazioni criminali che importavano in Italia ingentissime quantità di stupefacente dalla Colombia e che, parallelamente, gestivano un complesso circuito di riciclaggio del "denaro sporco";
- è stata esplorata, con successo, la possibilità di un ravvedimento operoso di taluno dei responsabili del narcotraffico in Italia. È stato possibile pertanto raccogliere le dichiarazioni di uno dei principali indagati, l'olandese Martens Bettien, che ha ricostruito per gli investigatori italiani l'attuale assetto dei "cartelli" colombiani, le dinamiche internazionali del narcotraffico e dei flussi di riciclaggio consentendo di identificare altri 136 narcotrafficanti internazionali tutti residenti all'estero, di cui solo 3 arrestati nel corso dell'operazione GREEN ICE e detenuti in Italia;
- è stata individuata una spedizione di oltre 550 chili di cocaina consegnata da narcotrafficanti dei "cartelli" colombiani ad esponenti di organizzazioni malavitose palermitane e romane, con l'individuazione e l'arresto di tutti i responsabili dell'illecito traffico;
- grazie alle attività sottocopertura condotte in Italia, sono stati sequestrati in Colombia 300 kg. di cocaina diretti a Roma.
All'operazione in argomento hanno preso costantemente parte, oltre al personale del SISDe, 30 investigatori del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato che hanno curato numerosissime intercettazioni telefoniche, svolto servizi di osservazione e pedinamento, eseguito consegne controllate e le connesse attività sottocopertura.
Si riporta, per completezza, una breve sintesi delle attività investigative condotte:
Intercettazioni telefoniche
Milano:
- n. 24 utenze telefoniche fisse intercettate per complessive 44.000 ore di ascolto;
- n. 2 intercettazioni ambientali per complessive 1.200 ore;
- analizzato, per otto mesi, il traffico telefonico di n. 8 utenze telefoniche fisse e di n. 8 utenze cellulari.
Roma:
- n. 6 utenze telefoniche fisse intercettate per complessive 17.280 ore di ascolto;
- n. 2 intercettazioni ambientali per complessive 3.000 ore;
- n. 1 utenza cellulare intercettata per complessive 1.400 ore.
Napoli:
- n. 8 utenze telefoniche fisse intercettate per complessive 40.000 ore di ascolto.
Palermo:
- n. 3 utenze telefoniche fisse intercettate per complessive 8.500 ore di ascolto;
- n. 1 utenza cellulare intercettata per complessive 1.480 ore.
Consegne controllate
Milano:
- effettuate due consegne controllate per circa due miliardi di lire.
Roma:
- effettuate dieci consegne controllate per complessivi otto miliardi di lire.
Eseguiti complessivamente n. 52 arresti.
Sequestro di stupefacenti e beni immobili:
a. circa 300 chili di cocaina destinati al mercato italiano, sequestrati nel porto di Cartagena (Colombia);
b. chili di cocaina sequestrati a Roma nell'abitazione di uno degli arrestati;
c. denaro contante per oltre dieci miliardi di lire (di cui 245.000 $ in una banca svizzera);
d. su provvedimento dell'A.G. italiana è stato "congelato" in una banca svizzera, in attesa del successivo sequestro, 1,9 miliardi di lire;
e. titoli per 1,5 miliardi di lire;
f. gioielli per circa un miliardo;
g. autovetture di grossa cilindrata;
h. società commerciali a Roma e Palermo.